Deserti nero pece…

UNA VALLE DI MONUMENTI

Il deserto non si può immaginare… si può soltanto vivere! Si insinua lentamente dentro di te, man mano che lo attraversi, con i suoi colori, i suoi contorni indefiniti, gli scorci sempre diversi e la sua incredibile vastità.

La strada che porta nel cuore della Monument Valley, la Highway 163, segue un percorso rettilineo a perdita d’occhio; il suo andamento leggermente in discesa ci dà l’impressione di “sprofondare” letteralmente nel cuore dell’immenso pianoro. Il cielo plumbeo e incombente rende il paesaggio spettrale, ma lo scroscio violento e improvviso riporta rapidamente il sereno e ci appare la valle nella sua completa suggestione.

La Monument Valley (Lat.37° 0′ 15.283″ N – Long.110° 10′ 24.523″ W) si estende tra gli Stati dell’Arizona e dello Utah. È un vasto plateau di origine fluviale, scolpito da imponenti guglie rocciose e bastioni di arenaria, rossiccia per la presenza di ossido di ferro, caratterizzati da sommità piatte e basi sopraffatte da pietrisco e sabbia. Antico bacino di pianura, ispessito per milioni di anni dai sedimenti portati da vento e acqua, strappati alle Montagne Rocciose dall’erosione. Poi il plateau, così innalzato, è diventato a sua volta oggetto privilegiato dell’erosione, che lo ha tagliato, dilavato e sfogliato, creando le meravigliose sculture rocciose che lo dominano.

Sono andata incontro al tramonto,
cantando.
Nel mio cuore danzavo,
come leggera nuvola di sabbia,
sollevata in sinuose volute
dal respiro del deserto.
Colori, silenzio,
sottili e indefiniti profumi
in osmosi con il mio corpo:
un materializzarsi e un disperdersi
in equilibrio dinamico.
Completamente assorbita dal tutto,
parte integrante e pulsante del Creato
in quel angolo remoto.
Stretta teneramente
nel caldo abbraccio del deserto
sono andata incontro al tramonto.

Nel buio della notte ho la sensazione di essere praticamente sola, immersa nel vuoto creato dall’immenso buio che mi circonda, ma il Grande Carro mi svela la posizione, almeno mi indica il nord! Infatti, Merak e Dubhe, le stelle più luminose della costellazione dell’Orsa Maggiore, disegnano la parte anteriore dell’asterisma del Grande Carro e sono dette stelle puntatrici o indicatrici, perché il prolungamento del segmento che le unisce punta verso α Ursae Minoris, la Stella Polare, che indica il Polo Nord Celeste. I Romani utilizzavano il Grande Carro per orientarsi nel cielo notturno, perché era una costellazione sempre presente nel cielo (circumpolare) e la chiamavano Septem triones (dal latino sette buoi agricoli, cioè che trainavano il carro nei campi), da cui il nostro settentrione.

Anche gli indiani Navajo, che gestiscono la riserva autonoma della Monument Valley, riconoscono questa costellazione come la più importante del cielo e ad essa associano la figura ideale di Nahookos Bi’ka’, il maschio guerriero, il capo e il padre, che provvede alla sua famiglia e la difende con l’arco e le frecce

Arato (III sec. a.C.), in “Fenomeni”, 27-44 racconta, invece, così la storia intessuta dai mitografi greci su queste due protagoniste del cielo:

Per ordine del grande Zeus le due Orse

da Creta salirono al cielo, perché lui, che era piccino,
là sull’odoroso Ditte presso il monte Ida
collocarono dentro un antro e lo nutrirono per un anno;
e intanto i Cureti del Ditte ingannavano Crono.
L’una poi per soprannome la chiamarono altresì Cinosura
e l’altra Elice. E d’Elice appunto si servono gli uomini Achei
come indice, nel mare, allorché occorre guidare navi;
e i Fenici invece attraversano il mare affidandosi all’altra.

LA VALLE DELLA LUNA

Il deserto ti accoglie! Sì, proprio te. Piccolo granello tra miliardi di granelli, ma definito e distinto, corpo scolpito da dolore e gioia, disperazione e speranza, tenebra e luce. Gli eterni conflitti si stemperano, si placano ed è proprio allora che te lo trovi dentro… il deserto.

Fuori, volgendo lo sguardo tutto intorno, ci rendiamo conto che la volta stellata ci copre come una cupola che parte da terra, in uno spettacolo mai visto prima, esaltato dal passaggio velocissimo di stelle cadenti. Mi allontano nel buio e salgo sulla scarpata di sabbia che delimita la strada, che ci porta al campo tendato di Wadi Rum.

Il Wadi Rum, o Valle della Luna, è una valle scavata nel corso del tempo dallo scorrere di un fiume nel suolo sabbioso e di roccia granitica della Giordania meridionale, a 60 km circa a est di Aqaba. Il nome Rum, probabilmente di origine aramaica, significa “alto” o “elevato”; infatti il suo punto più elevato è il monte Jebel Rum alto 1754 m. Bella la cornice del deserto del Wadi Rum, con i suoi speroni rocciosi, che si stagliano nel cielo notturno come figure incombenti e bellissimi i suoi scorci al tramonto con la sabbia rossa e dorata, che con i suoi colori caldi stempera un po’ il freddo della notte. I dromedari in carovana, le tende beduine sparse qua e là… sembra quasi che Lawrence d’Arabia sbuchi fuori da un momento all’altro da dietro una duna o da una spaccatura della roccia. E quel silenzio… il silenzio ovattato del deserto, misterioso, ancestrale… quasi mistico.

Di giorno l’ardore del sole fermentava in noi ed eravamo storditi dal vento mordente.
Di notte ci bagnava la rugiada, e sotto gli innumerevoli silenzi delle stelle
ci prendeva vergogna della nostra infimità.
Thomas Edward Lawrence (Lawrence d’Arabia)
“I sette pilastri della saggezza”, 1922

Come granelli di sabbia,
che il vento solleva e abbandona,
ora in morbide pieghe
appena accennate
ora in alte e superbe dune,
ora in alte e superbe dune,
a profilare aridi e multiformi deserti.
O spazza via, turbinanti,
ad aprire spazi
verdeggianti e rigogliosi di oasi.
Così noi,
ciascuno di noi,
condotto dal tempo,
disegna
gli angoscianti deserti e
le oasi rassicuranti
della propria vita.

La sera del 3 gennaio, dopo aver assistito ad un tramonto spettacolare, con dei colori intensi e prolungati, abbiamo visto un cielo cui non siamo più abituati, anche se un poco di inquinamento luminoso sull’orizzonte era presente, dovuto alle luci dei campi tendati. Abbiamo tentato l’osservazione delle Quadrantidi a circa 400 m dal nostro campo in un deserto sabbioso, con qualche roccia. Si udivano lontani latrati di cani e forse versi di iene, presenti nel deserto. Le meteore sono state poche, circa 30 in due ore, alcune abbastanza luminose, una molto lenta, alcune sicuramente “spurie”, non correlate allo sciame. Nel momento del massimo il radiante era basso sull’orizzonte e in parte ostacolato dalle rocce.

Il Quadrante Murale (in latino Quadrans Muralis) è una della più note tra le costellazioni obsolete, in quanto ha dato il nome allo sciame meteorico annuale delle Quadrantidi, che irradiano da quest’area di cielo ogni gennaio. Il Quadrante Murale occupava quella che ora è la parte settentrionale di Boote, vicino all’estremità del manico del Grande Carro (o, altrimenti, alla punta della coda dell’Orsa Maggiore).

Il fenomeno, comunemente detto “stelle cadenti”, si verifica quando la Terra, durante il suo moto di rivoluzione, incontra l’orbita di una cometa che, nel tratto più vicino al sole, perde parte del materiale della sua superficie, soffiato via dal vento solare e disperso nel tempo lungo tutta l’orbita. Il luogo da cui sembrano partire le stelle cadenti è chiamato radiante; esso si sposta nel cielo con il progredire del moto della Terra attraverso lo sciame: più questo è vecchio, più è disperso lungo la sua orbita, più tempo impiega la Terra per attraversarlo.

[…] Sarebbe infatti molto sciocco pensare che siano le stelle a cadere o ad attraversare il cielo o che frammenti possano essere loro sottratti e raschiati via. Se così fosse, in effetti, sarebbero già scomparse: non c’è notte infatti in cui non si vedano passare numerose e spostarsi in diverse direzioni. Eppure ciascuna la si ritrova al suo posto abituale e mantiene costante la sua grandezza; ne consegue dunque che questi fenomeni abbiano origine sotto le stelle e rapidamente vengano meno in quanto non hanno base e sede fissa.
Lucio Anneo Seneca in Questiones naturales, I 5, 6,7

MAGICA SIWA

Il deserto, una parola che sembra non lasciare nulla dentro la mente. Cerchi di immaginarlo, ma in realtà riesci solo a visualizzare qualche bella foto, sbirciata qua e là nelle pagine di una rivista o di qualche libro… Solo un’occhiata: troppo esotico, troppo estraneo per te, abituata al verde delle macchie e dei boschi adagiati sui profili dolci dell’Umbria.

Nel buio della notte, mentre tutto attorno a noi è il nulla, nel rumore monotono del motore, nella radio che trasmette versetti del Corano c’è una strana forma di magnetismo che tutto fa sembrare perfettamente normale ed usuale: il correre nella notte a fari spenti, sotto un cielo stellato che così non si è mai visto. Corre veloce il nastro d’asfalto sotto di noi, giù in discesa, ingoiato dal buio profondo della notte. Ma quando finisce questa discesa?! Dove finisce?!… All’oasi di Siwa!

L’oasi di Siwa (29°11’18’’ lat. N – 25°30’55’’ long. E, –17 m s.l.m.) si trova in pieno deserto del Sahara: circa 300 km a Sud della costa mediterranea, 750 km a Ovest dal Cairo e 40 km a Est del confine libico, che corre rettilineo per 1200 km dal mare fino in Sudan. Siwa, vasto palmeto disseminato di orti e oliveti e costellato da laghi, con acque dolci o salate alimentate da sorgenti profonde, offre un paesaggio affascinante e remoto, ricco di reperti archeologici.

Magica Siwa,
lembo di fango
strappato all’acqua salata.
Magica Siwa,
colori di terra
graffiati dal rosso e rosato
del cotto.
Magica Siwa,
immersa nella luce
calda, intensa, sensuale
del crepuscolo,
sbiadita, appiattita
nel lampo metallico
del mezzogiorno.
Magica Siwa,
avvolta, come un vecchio film muto,
da silenzi ovattati, invadenti,
benefico deserto dell’anima.

L’oscurità ci abbraccia e si dilata, spezzando i confini tra terra e cielo. Sembra un tuffo nell’infinito, da cui emerge uno spazio sempre più vasto, sempre più sfavillante di luci grandi e piccole, nitide, che ammiccano prima in modo indefinito, poi prendono forma in disegni noti. E riconosco il cielo amico delle notti italiane… Qui così vicino, così vicino…

È forte il desiderio di allungare la mano per sfiorare quella immensità!

Quello Scorpione, costellazione estiva notevolmente a sud dell’equatore celeste, che è molto bassa sull’orizzonte alle nostre latitudini ma qui troneggia sul lago salato nella sua interezza. Con la sua stella αAntares, dal greco “simile a Marte”, per il colore rossiccio come quello del pianeta. E’ distante da noi 600a.l., ha un diametro enorme pari a 750 volte quello del Sole ed è 10.500 volte più luminosa della nostra stella.

Per le popolazioni delle Americhe la Madre Scorpione dimora in fondo alla Via Lattea, dove raccoglie le anime dei morti; le tribù Pawnee e Cherokee raccontano:

Le anime dei morti sono accolte da una stella all’estremità settentrionale della Via Lattea, là dove questa si biforca: essa indirizza i guerrieri lungo il sentiero fioco e difficile, e le donne e coloro che muoiono di vecchiaia lungo il sentiero più luminoso e più facile. Le anime viaggiano dunque verso sud: alla fine del sentiero celeste sono accolte dalla Stella degli Spiriti, e là dimorano”.