Sotto il cielo di Dendera

di Simonetta Ercoli

La visione astronomica della civiltà egizia è una tra le più antiche. I primi insediamenti di queste popolazioni lungo la Valle del Nilo risalgono a circa 5000 anni a.C.. E’ in questo periodo, chiamato predinastico, che si realizza, dapprima, un’intensa immigrazione dalle regioni limitrofe orientali con l’apporto di usi e costumi diversi da quelli locali, che portano alla formazione di due aree distinte: il basso Egitto, localizzato intorno al delta del fiume e l’alto Egitto, che si sviluppava lungo il suo percorso verso l’equatore fino alla prima cataratta. Successivamente, intorno al 3000 a.C., periodo di cui restano le prime documentazioni di monumenti e di testi scritti e che vedeva contemporaneamente in Mesopotamia l’emergere della civiltà sumerica, si realizzò l’unità delle due aree sia dal punto di vista politico che religioso. Nel 2900 a.C. inizia il periodo faraonico con la 1° Dinastia. Comunque, lungo tutto lo sviluppo della civiltà egizia ci furono contatti e vere e proprie mescolanze con le altre civiltà emergenti del bacino mediterraneo e del vicino medio oriente, che influenzarono in modo più o meno significativo la loro concezione e rappresentazione del cosmo.

Riguardo alle teorie egizie sulle origini dell’universo esistono versioni differenti, a seconda della località in cui sono nate e delle necessità dei sacerdoti locali. Ma c’erano due presupposti comuni a tutte:

  • in principio esisteva solo il Caos (Nun) identificato con l’oceano primordiale, in cui viveva Atum, che sorse dall’acqua e iniziò a splendere sotto forma del Sole (Ra). Ra generò due figli: Shu dio dell’aria e Tefnet dea dell’umidità; da questi nacquero Geb, dio della Terra e Nut, dea del cielo;
  • il cielo era pensato come fatto di acqua, che circondava la terra e si estendeva all’infinito in tutte le direzioni, e l’atmosfera impediva all’oceano celeste di riversarsi su di essa, creando una sorta di bolla, all’interno della quale esisteva la vita. Ogni giorno il sole solcava da una parte all’altra il cielo-oceano e al tramonto scendeva nel Duat (luogo al di sotto della terra), lasciando il posto alle stelle che a loro volta lo attraversavano. Può essere comprensibile questa loro concezione se si considera che vedevano il cielo come uno sfondo uniforme di azzurro durante il dì e di nero durante la notte, gli stessi colori del Nilo e quindi possono aver concluso che, come il fiume, esso fosse composto di acqua.

Questa visione del cosmo è rappresentata nelle immagini di templi, tombe, papiri, sarcofagi ma i reperti più importanti sono ad Abidos (il cenotafio di Sethi) e nella Valle dei Re (la tomba di Ramses IV), perché le immagini sono accompagnate da testi che ne descrivono le scene.

“Quando questo dio (il sole) raggiunge in veliero i limiti del bacino celeste, lei  (Nut, il cielo) lo fa entrare di nuovo nella notte, nel bel mezzo della notte, e quando lui entra nell’oscurità queste stelle gli stanno dietro. Quando l’incarnazione del dio entra… nel Duat, questo resta aperto anche dopo il suo ingresso, sì che queste stelle naviganti possano entrare dopo di lui ed avanzare dietro di lui”. Tratto da “I testi delle piramidi”.

“La parte superiore di questo cielo esiste in un’oscurità uniforme, i limiti della quale… sono ignoti, poiché si trovano nelle acque, nell’assenza di vita. Non c’è luce… non c’è chiarore laggiù. E come ogni luogo che non è né cielo né terra, questo è il Duat nella sua interezza”. Tratto da “I testi delle piramidi”.

Nell’Antico Egitto l’astronomia ha rivestito un ruolo importante per fissare le date delle feste religiose e determinare le ore della notte, compiti svolti dai sacerdoti dei templi, che ricavavano i dati necessari osservando le stelle, le congiunzioni dei pianeti e le fasi della Luna. Ma, a differenza di quanto accade per la loro matematica, le conoscenze astronomiche egizie non possono essere dedotte da papiri, ma solo dalle raffigurazioni astronomiche, che si ritrovano in fonti quali i coperchi di sarcofagi dell’Antico (2.850 – 2.180 a.C.) e del Medio Regno (2.133 – 1.786 a.C.), gli orologi stellari, gli studi sull’orientamento delle piramidi e i soffitti dei templi. Il carattere religioso dell’astronomia egizia traspare anche dall’architettura stessa dei templi: questi si presentano costituiti da pilastri e pareti, le cui aperture e divisioni sono realizzati in modo da guidare il raggio di un determinato astro nel Naos, la cella più interna in cui era custodita la statua del dio. Con Tolomeo Sotero, fondatore della biblioteca di Alessandria, il cui regno iniziò nel 306 a.C., l’astronomia egizia si ellenizza: compaiono i primi zodiaci egizio-babilonesi e dal 200 a.C. i primi papiri di tipo astronomico-astrologico, scritti anche in greco e demotico, e i testi planetari per la posizione dei pianeti rispetto alle costellazioni. Lo zodiaco egizio-babilonese più conosciuto si trova nel tempio di Dendera, a Qena sulla sponda occidentale del Nilo a circa 60 Km. a nord di Luxor, nei pressi dell’imboccatura del Wadi Hammamat, uno dei tanti letti fluviali essiccati presenti nel roccioso deserto orientale, ora importante via di collegamento fra il Nilo ed il Mar Rosso.


Il Tempio di Hathor è di stile tipicamente tolemaico, anche se la sua prima fondazione viene fatta risalire all’Antico Regno, o forse anche più indietro nel tempo come testimonia la presenza di una necropoli, risalente al Periodo predinastico. Si sono susseguiti nei secoli ampliamenti da parte di numerosi sovrani ad iniziare da Cheope, ma la versione definitiva del tempio, come oggi si presenta, è datata al Periodo tolemaico e romano ed è il tempio più grande e meglio conservato di questo periodo. Esso è racchiuso da un muro di recinzione costruito nel corso della XXV Dinastia, l’ingresso è affiancato da sei colonne con la testa di Hathor nel capitello, tre per parte, ed introduce in una sala ipostila di 18 colonne sempre in stile hathorico. Il soffitto è decorato con figure astronomiche, avvoltoi e disco solare alato, mentre sulle pareti sono raffigurati imperatori romani che, nelle vesti di faraoni, porgono offerte alla dea.

Sempre sul soffitto si vede la dea Nut, dal corpo decorato con un motivo che rappresenta l’energia dell’oceano primordiale, nell’atto di partorire il sole, che con i suoi raggi illumina il tempio di Dendera rappresentato dall’immagine di Hathor. Nella parete sud della Sala ipostila si apre un passaggio che porta ad una seconda sala più piccola, chiamata Sala dell’Apparizione, da cui partiva la statua di Hathor il primo giorno dell’anno per essere  portata in processione fin sul lato nord-occidentale della terrazza, dove nella Cappella del Disco la dea si poteva ricaricare dell’energia solare necessaria per affrontare il nuovo anno. Sulla parte orientale della terrazza si aprono altre camere e sul soffitto di una di queste è collocata una copia dello Zodiaco circolare di Dendera, il cui originale si trova al Louvre di Parigi dal 1828.


Esso è la più importante rappresentazione delle costellazioni egizie, costruita presumibilmente nell’arco di 33 anni dal 54 a.C. al 21 a.C.. L’influenza della cultura assiro-babilonese e greca è messa in evidenza dalla presenza delle 12 costellazioni zodiacali, nate molto probabilmente sulle rive del Tigri e dell’Eufrate ed intorno ad esse sono rappresentate le costellazioni egizie. L’intero insieme risulta essere ad oggi la mappa più completa di tutto il cielo antico.


Il bassorilievo, in pietra arenaria, nel suo insieme misura 255 per 253 centimetri, mentre il disco centrale ha un diametro di 155 centimetri. La raffigurazione non si presenta come una disposizione casuale delle figure che simboleggiano astri e costellazioni, ma non è comunque riconoscibile il criterio con cui la costruzione di questo ‘fermo immagine’ della volta celeste sulla pietra sia stato realizzato. Il disco centrale è sostenuto da quattro coppie di divinità con la testa di falco, intervallate da altre quattro divinità rappresentanti i punti cardinali, tra le quali sono disposti, con orientamento non corrispondente, i segni geroglifici dell’est e dell’ovest. Nel bordo esterno del disco sono raffigurati i trentasei decani egizi (stelle o costellazioni che sorgevano all’ultima ora della notte di ciascuna delle trentasei decadi in cui era diviso l’anno) e al suo interno compaiono la stella Sirio (una vacca accovacciata su una barca, con una stella tra le corna), i dodici segni zodiacali, il simbolo che indica l’asse longitudinale del tempio, le costellazioni di entrambi gli emisferi celesti, i cinque pianeti visibili e, presumibilmente, la Luna (il cerchio posto vicino alla costellazione dei Pesci).

La distribuzione delle costellazioni zodiacali lungo il piano dell’eclittica è ancora oggi oggetto di studio ed interpretazione, in conseguenza alla presenza di alcune peculiarità: entrambi gli archi del piano dell’eclittica (ascendente e discendente) appaiono sul disco centrale; ognuno di essi ha un centro di riferimento proprio; Sirio e Orione sono “erroneamente” orientati verso nord.

Accanto ai diagrammi stellari dello zodiaco (in nero nella figura accanto), che sono abbastanza simili ai nostri, sono riportati anche quelli tipici degli egizi: l’Orsa Maggiore, raffigurata come un ippopotamo con un coccodrillo sulle spalle; il Grande Carro come la Coscia del Bue sacro; l’Orsa Minore come uno sciacallo; Orione come un uomo che corre guardandosi indietro.
Alcune costellazioni dello zodiaco comunque presentano qualche rivisitazione: il Toro porta sulle spalle la mezzaluna con la luna piena nascente; i Gemelli rappresentano la dea Tefnut e il dio Shu; il Cancro è sostituito dallo scarabeo; il Leone è posto sopra una barca con una dea che lo tiene per la coda; la Bilancia è sovrastata dal disco solare con l’immagine di Horus bambino all’interno; il Sagittario è rappresentato da un centauro bifronte.

Nel corso del tempo la rappresentazione figurata delle costellazioni zodiacali, come in generale quella di tutto il cielo, ha subito modifiche e reinterpretazioni come mostra questo interessante confronto proposto dall’architetto Giovanni Murelli, tra quelle egizio-babilonesi presenti nello zodiaco circolare di Dendera, quella seicentesca presente nei grandi atlanti stellari dell’epoca e quella raffigurata nelle odierne carte stellari.

Bibliografia

1.    Camillo Trevisan, La rappresentazione delle costellazioni nello zodiaco circolare di Dendera, Articolo alla conferenza tenuta presso l’Istituto Svizzero di Roma, 1 dicembre 1997;
2.    David P. Silverman, Antico Egitto, E. Mondadori;
3.    Descrizione dell’Egitto, pubblicata per ordine di Napoleone Bonaparte, Bibliotheque de L’Imagine;
4.    Raccolte, I testi delle piramidi;
5.    Murelli Arch. Giovanni di Todi, Disegni dello Zodiaco circolare al CAD;
6.    http://planet.racine.ra.it/testi/egizi.htm;
7.    http://www.acacialand.com/Orion.html.