San Giovanni e il solstizio d’estate

di Simonetta Ercoli

Nei giorni tra il 19 e il 25 giugno e tra il 20 e il 27 dicembre (nel corso dei tempi la data è variata sia per motivi astronomici, sia per i diversi calendari utilizzati) il Sole sembra levarsi per qualche giorno sempre nello stesso punto (“Sole che sosta” o “Sole che fa i salti”) prima di riprendere il cammino inverso: sono i giorni del solstizio. Nel solstizio di dicembre l’inverno, raggiunta la più lunga delle sue notti, comincerà a decrescere, per lasciar posto all’estate, che culminerà nel solstizio d’estate, giorno in cui si ha il dì più lungo dell’anno, ma anche… la notte più breve. Proprio per questo era considerato un giorno critico, di passaggio ed era necessario esorcizzare la paura dell’evento con riti propiziatori che nella cultura popolare, nel corso dei tempi e nei vari luoghi, si sono intersecati e sovrapposti fino ai nostri giorni. La festa di San Giovanni esprime un esempio di queste stratificazioni del sacro sul profano.

San Giovanni nella tradizione cristiana

Il dies natalis dei santi, quello nel quale vengono ricordati nel calendario, corrisponde al giorno della morte: morendo, nascono in Cristo. San Giovanni è l’unico santo di cui si festeggia la nascita (non intesa come morte) il 24 giugno e la morte il 29 agosto. Entrambe le date sono senz’altro fittizie, se si considera che il giorno della “nascita” fu fissata nel IV secolo, quando la chiesa cristiana del tempo, per contrastare le feste pagane, scelse quale giorno per la nascita di Gesù il 25 dicembre, che fino ad allora era stato il Natalis Solis Invicti, cioè il Natale romano. Maria, subito dopo l’Annunciazione databile intorno alla fine di marzo, visitò la cugina Elisabetta, che era incinta di sei mesi, di conseguenza venne fissato nel 24 giugno il giorno natale del precursore di Cristo. Giovanni, diventato adulto, scelse di vivere come eremita e trascorse molti anni nel deserto nutrendosi di locuste e di miele selvatico. Nel 29 d.C. (quindicesimo anno del regno di Tiberio) riapparve sul Giordano come predicatore del battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Ai sacerdoti che lo interrogavano per sapere se fosse il messia o il profeta Elia redivivo, rispondeva di essere la voce nel deserto che grida di preparare la via del Signore, che sarebbe venuto portando sulle sue spalle i peccati del mondo. Giovanni, con la pratica del Battesimo, si rese nemici i sacerdoti, i quali vedevano in questo gesto una novità che toglieva valore al Tempio e ai riti religiosi che vi si compivano. Non si accattivò neppure l’amicizia del re Erode e della regina Erodiade, in quanto li condannava pubblicamente come peccatori per il loro matrimonio: Erode aveva sposato Erodiade, sua cognata, in seconde nozze, nonostante che la Torà condannasse un tale tipo di unione, dato che quella precedente era stata regolare e feconda, avendo Erodiade una figlia, Salomè. Il destino di Giovanni era segnato. Erodiade riuscì a convincere Erode ad ucciderlo e ad offrirle la sua testa su di un piatto d’oro, in cambio della “danza dei sette veli” della la figlia Salomè.

Notte di San Giovanni: tradizioni e riti

Il Giovanni festeggiato il 24 giugno, è il Battista, detto anche il”Giovanni che piange”, non solo a causa del suo triste destino ma anche perché il sole in questo giorno sembra iniziare un cammino a ritroso che lo porterà a raggiungere il punto più basso sull’orizzonte alla fine di dicembre. Il Giovanni festeggiato il 27 dicembre, invece, al solstizio d’inverno, è l’Evangelista, chiamato anche il “Giovanni che ride”, perché felice per il suo contribuito offerto quale apostolo alla diffusione del verbo divino nel mondo, ma anche perché il sole inizia il cammino in avanti verso la sua massima declinazione positiva rispetto all’equatore celeste. La visione di un Giovanni Battista che deve “abbandonare la scena” trae spunto anche da un passo del Vangelo secondo Giovanni, 3, 25-30, in cui si legge:

«Nacque allora una discussione tra i discepoli di Giovanni e un giudeo a proposito della purificazione. Andarono perciò dal Battista e gli dissero:”Rabbi, colui che era con te dall’altra parte del Giordano e al quale hai reso testimonianza [il Cristo], ecco sta battezzando e tutti accorrono a lui”. Giovanni rispose: “Nessuno può prendere qualcosa se non gli è stato dato dal cielo. Voi stessi mi siete testimoni che ho detto: Non sono io il Cristo, ma io sono stato mandato innanzi a lui […]. Ora questa mia gioia è compiuta. Egli deve crescere e io invece diminuire”.»

La notte di San Giovanni, ricordata anche nelle festività precristiane, segnava soprattutto il legame dell’uomo con la natura e la loro continua comunione che si esaltava in diversi tipi di avvenimenti, soprattutto riti semplici e naturali, propri della società contadina e pastorale. L’Acqua e il Fuoco sono per antonomasia i simboli solstiziali e si ritrovano in numerose feste popolari. Lo stesso Battista aveva affermato di battezzare con l’Acqua, ma un altro, più potente di lui, avrebbe purificato con il Fuoco. Questo è testimoniato dal rito (comune dalle regioni nordiche alle regioni africane del nord) dell’accensione durante la notte della vigilia di molti falò, specie in cima alle colline o ai dossi: il contadino, con questi fuochi, voleva aiutare il sole, che cominciava a scendere sull’orizzonte, a restare alto in cielo per continuare ad offrire la sua energia ai campi. Tali fuochi sono stati interpretati anche come festa in onore del Sole, manifestazione del divino nel suo massimo splendore solstiziale, che può scacciare demoni e streghe e prevenire le malattie.

Si dice che in Abruzzo la mattina del 24 giugno le giovani guardino ad oriente per riconoscere il volto mozzato di Giovanni nel disco solare: la prima che lo vedrà si sposerà entro l’anno. È proprio a questa leggenda abruzzese che si è ispirato Gabriele D’Annunzio per scrivere i versi del dramma “La figlia di Iorio”:

[…] E domani è San Giovanni,
fratel caro; è San Giovanni.
Su la Plaia me ne vo’ gire,
per vedere il capo mozzo
dentro il sole,
all’apparire,
per veder nel piatto d’oro
tutto il sangue ribollire.

La tradizione popolare racconta che in questa notte tutte le streghe e gli spiriti maligni si diano appuntamento ai crocicchi delle strade, lungo i sentieri bui e nei luoghi deserti, fino all’alba ed è per questo motivo che le erbe raccolte in questa notte, prima del levar del sole, acquistano un significato magico, un particolare potere nello scacciare demoni e malocchio. In alcune regioni i mazzi di erbe di San Giovanni devono avere almeno 100 varietà diverse di piante, in altre sono solo mazzetti di erbe odorose, ma per avere funzioni divinatorie sono magiche le nove erbe consacrate al santo. L’indispensabile Iperico (1) , detto anche “Erba di San Giovanni” o “Scacciadiavoli”, erba ritenuta un amuleto contro ogni sorta di stregoneria, erica, lavanda, ginestra, felce, verbena (simbolo di pace e di prosperità), ribes, artemisia(2) (detta anche assenzio volgare, consacrata a Diana – Artemide) e cardo , raccolte in mazzetti e in luoghi diversi, si pongono in casa per proteggerla e, se messe sotto il cuscino, quel che la notte si vede nel sogno si dice che si realizzi.
Queste piante in realtà si raccolgono proprio in questo periodo dell’anno, perché sono nel loro tempo balsamico, cioè più ricche di principi attivi e da ciò la tradizione popolare ha tratto l’aspetto magico tramandato di generazione in generazione. Con esse si eseguiva il rituale della rugiada: le erbe si mettevano in un catino colmo d’acqua e si esponevano all’aperto tutta la notte, perché la Madonna e San Giovanni passando la benedicessero, facendo così acquistare il massimo delle virtù benefiche alla rugiada, simbolo delle lacrime di Erodiade, pentita del suo atroce gesto.

Il Battista battezzava con l’acqua, per cui fu facile, nella credenza popolare, attribuire alla rugiada della notte che precede la sua festa, effetti salutari, vedendo in essa un’acqua simile a quella con cui il santo aspergeva.
All’uso del bagno si affiancava anche l’uso del “comparatico” di San Giovanni: se il 24 giugno ci si legava simbolicamente, anche tra persone di sesso diverso, si restava spiritualmente legati per tutta la vita: compari e comari. Per stabilire il comparato, una persona inviava all’altra, la vigilia di San Giovanni, un mazzolino di fiori che quella ricambiava poi alla vigilia della festa dei santi Pietro e Paolo.

Attraverso i tempi

Moltissime sono le leggende e le usanze legate al giorno di San Giovanni, che risalgono alla notte dei tempi, stratificate le une sulle altre a tal punto che è difficile districarle.

Il solstizio d’estate, per i babilonesi, rappresentava il matrimonio del Sole con la Luna. La Luna, dea delle acque, e dominatrice del segno del Cancro che inizia proprio con il solstizio, vengono fecondate dal Sole. Oggi San Giovanni è patrono delle sorgenti e nel giorno di San Giovanni è usanza consumare lumache, animale posto sotto la protezione della Luna.

Nella religione dell’antica Grecia, il solstizio d’estate era considerato la “porta degli uomini”, mentre il solstizio d’inverno era la “porta degli dei”. I solstizi, dunque, nell’antica Grecia erano un confine tra il mondo spazio-tempo degli umani e l’atemporalità degli dei. Ma si tratta di un concetto comune a molti popoli, lo si ritrova anche nei testi vedici, anteriori al pitagorismo.

Nella tradizione romana, il custode delle porte, comprese quelle solstiziali, era Giano Bifronte, la più antica divinità italica, signore dell’Eternità, guardiano delle soglie e dei passaggi, le cui feste venivano celebrate ai due solstizi. Come ricorda Marco Terenzio Marrone nei versi Ianuli del Carme saliare nel “De lingua latina”:

“Tu sei il buon Creatore,
di gran lunga il migliore degli altri re divini
[…] Cantate in onore di lui,
del padre degli dei,
sacrificate al dio degli inizi”

Ed ancora Ovidio così fa parlare il dio nei “Fasti”.

“Io solo custodisco il vostro universo e
il diritto di volgerlo sui cardini è tutto in mio potere”

Ai vecchi nomi ne subentrarono di nuovi: oggi al posto di Giano troviamo i due “Giovanni”, il Battista presso il Solstizio d’Estate, l’Evangelista presso quello d’Inverno. Questo sovrapporsi di nomi dovuto al succedersi di una religione all’altra non cambia mai, però, il significato più profondo di una Festività, anzi, si direbbe che lo aggiorna e lo approfondisce, senza mai snaturarlo. Giano, signore dei passaggi, vegliava sui Solstizi perché secondo una tradizione antichissima, questi erano in realtà delle porte aperte verso dimensioni di conoscenza superiori, da essi entravano uomini che uscivano trasformati in dèi. E su queste si innestano le feste dei due Giovanni cristiani, i quali, secondo alcuni studiosi, simboleggiano uno il Cristo Creatore, al solstizio estivo, l’altro, al solstizio invernale, il Cristo Salvatore che apre la porta del cielo. Sempre nell’antica Roma, il 24 giugno si festeggiava la Fors Fortuna, la dea della casualità. Era vietato al popolo onorarla durante l’anno, ma in quel giorno cadevano i divieti, come tramanda Plinio il Vecchio, e i romani potevano festeggiarla, come accadeva per la festa dei Saturnali: cadeva il divieto del gioco d’azzardo e la popolazione si scatenava nel canto e nel vino.
Una leggenda medievale, che aveva ovviamente demonizzato gli antichi riti misterici, voleva che, nel giorno del Solstizio d’Estate, le “streghe” si radunassero sotto un Noce gigantesco che sorgeva nei pressi di Benevento. Le streghe, sempre secondo la leggenda, erano depositarie della conoscenza delle erbe con cui sapevano preparare filtri e medicamenti. Ancora oggi è viva in molte tradizioni popolari l’usanza di attribuire virtù taumaturgiche a determinate erbe raccolte nella notte di San Giovanni, oppure alla rugiada, che si ricollega al mondo acqueo della Luna o al nocino, che va preparato con le noci acerbe raccolte in questa notte con strumenti non di metallo. L’usanza del nocino solstiziale risale ai Celti della Bratagna, presso i quali il noce era un albero sacro, e si è diffusa nelle zone da loro colonizzate, come ad esempio il nord dell’Italia. A Roma, in età medievale, c’era l’usanza di mangiare, danzare, giocare e cantare all’aperto e nelle osterie in attesa del sorgere del sole. Accanto al fuoco, che aveva una funzione liberatoria, vi era la rugiada dalle virtù fecondatrici: le giovani spose, che volevano ottenere figli, si recavano sul monte Testaccio e si sedevano sollevavando le vesti sopra l’erba umida per un intimo lavacro propiziatorio. Il giorno della vigilia, i romani si radunavano nei prati della chiesa dei S. Giovanni in Laterano, dedicata ad entrambi i Giovanni, e di S. Croce in Gerusalemme, accendevano fuochi e aspettavano di veder passare le streghe. Queste erano guidate da Erodiade – Salomè, che nel tramandarsi delle leggende furono sovrapposte come personaggi.

Secondo le tradizioni nordiche, il 24 giugno è giorno di mezza estate. Il mondo naturale e il soprannaturale si compenetrano e accadono “cose strane”. Il giorno è ricordato anche da Shakespeare nel “Sogno di una notte di mezza estate”, Midsummer’s day, ovvero Giorno di Mezza Estate, in cui realtà e sogno si confondono a tal punto da non poterli distinguere. Potrebbe anche collegarsi al passaggio dei morti, che gli antichi vedevano in questo periodo di transizione delle stagioni, momento critico dell’anno. E torna anche qui il simbolismo della notte di San Giovanni: in tutte le campagne del Nord Europa l’attesa del sorgere del sole era propiziata dai falò accesi sulle colline e sui monti, per mettere in fuga le tenebre e con esse gli spiriti maligni, le streghe e i demoni vaganti nel cielo. Attorno ai fuochi si danzava e si cantava e la notte era pervasa di magia: le acque sussurravano parole cristalline, le fiamme creavano giochi di luce nell’aria scura, il Male si dissolveva sconfitto. Durante la notte i fiori si vestivano di rugiada; allo spuntar del sole si sceglievano e raccoglievano in mazzi per essere benedetti in chiesa dal sacerdote. Bagnarsi nella rugiada o lavarsi con essa almeno gli occhi al ritorno della luce era per i fedeli cristiani un gesto di purificazione, prima di partecipare ai riti in chiesa. La rugiada ricordava il battesimo impartito dal Battista nel Giordano, le erbe dei prati e dei boschi riproponevano l’austera penitenza di Giovanni nel deserto prima della sua missione di precursore del Messia.

Anche in Italia, fino a pochi decenni fa in molti luoghi, come ad esempio in Valsesia, erano praticati i riti della Notte di San Giovanni: l’usanza dei falò, del lavacro con la rugiada e della benedizione in chiesa del mazzo di erbe e di fiori. Questo veniva conservato gelosamente in casa o portato all’alpeggio in estate (verso il quale da molti luoghi si partiva proprio il 24 di giugno) per riconsacrare la baita di montagna lasciata l’anno prima. Al ritorno dall’alpe, quelle stesse erbe essiccate, unite ad un ramo di olivo e ad uno di ginepro, venivano bruciate nella stalla a protezione degli animali. Questa tradizione spiega anche perché il precursore di Cristo, rappresentato con l’Agnello mistico sulle spalle e vestito da eremita del deserto, fu assunto dai pastori come patrono privilegiato fino dai primi secoli cristiani.

Ancora oggi i riti e le tradizioni della Notte di San Giovanni resistono al tempo in modo più o meno velato in molti paesi e regioni d’Europa.

Note

(1)(Hypericum perforatum)
Nomi dialettali: pilatro, pirico, piriconi, millebuchi, parforata, tutta sana, ciciliana, rosa di Saron o barba di Aronne per gli inglesi, scaccia diavoli, erba San Giovanni in tutte le zone dell’emisfero settentrionale.
Linguaggio dei fiori: è considerata una delle più potenti piante antimaleficio, un autentico talismano.
Aneddoti e credenze: il fatto che sbocci a ridosso del solstizio d’estate e di San Giovanni, tradizionalmente notte delle streghe, le ha probabilmente conferito la nomea di cui sopra. Veniva coltivato o appeso fuori delle case per scacciare diavoli e malefici. Nel Medioevo si riteneva che un decotto di fiori d’iperico raccolti prima dell’alba servisse a scacciare qualsiasi mania e a guarire dalla rabbia. Veniva anche bruciato come incenso. Con la cristianizzazione, si diffuse la leggenda che l’iperico fosse nato dal sangue di San Giovanni, alimentando la credenza di cui sopra, e che il diavolo volesse distruggerla trafiggendola, ma l’unico risultato ottenuto fu quello di perforarle. Sempre nel lontano Medioevo nacquero leggende comuni un po’ a tutta la zona europea: con l’iperico, colto la notte di San Giovanni, le ragazze da marito potevano divinare se avrebbero trovato il sospirato sposo nel corso dell’anno. Bastava cogliere un rametto d’iperico e appenderlo nella propria camera da letto. Se il mattino seguente era fresco e vegeto entro l’anno ci sarebbe stato il matrimonio, altrimenti…

(2) L’Iperico, pianta solare dai bei fiori gialli viene usata per le sue proprietà anti-infiammatorie sottoforma di oleolito, cioè di olio in cui si siano fatte macerare le sommità fiorite della pianta. L’olio di iperico è tuttora usato in caso di scottature, eritemi solari, piaghe perché aiuta a rigenerare i tessuti e a calmare il dolore. Attenzione però a non applicarlo prima dell’esposizione al sole poiché da origine a fastidiosi episodi di fotosensibilizzazione. Per uso interno l’iperico è indicato come antidepressivo, tonico e digestivo. Dell’Artemisia si utilizzano le sommità fiorite in tutti i disturbi del ciclo femminile. Non è però da utilizzare in gravidanza perché è un eccitante della muscolatura uterina. Ha inoltre proprietà digestive dovute a sostanze amare. L’aglio è senz’altro il più noto e oltre alle proprietà depurative e disinfettanti per uso interno è utilissimo in caso di ipertensione, spesso associato al biancospino.